“Questo è il mondo!”: alla ricerca di linguaggi comuni

La prima parola che Mag ha imparato da quando, in classe, siamo insieme, è stata «mondo».

Era uno dei primi giorni in cui sedevo al suo fianco, in cui curiosamente entrambe avevamo preso a scrutarci con insistenza: ancora non conoscevo bene le sue competenze, non avevo un percorso precostituito da seguire nel lavoro di sostegno che andavamo cominciando. Tra di noi c’era soltanto un libro di italiano che mi aveva procurato la sua maestra, con gli esercizi più o meno già completati; sul banco c’erano tantissimi fogli da disegno, su cui Mag piano piano scriveva col pennarello viola il suo nome, guardandomi. A incorniciarle le espressioni c’era un grosso apparecchio acustico nero, un impianto cocleare posizionato sopra l’orecchio destro, la cui luce intermittente brillava verso l’esterno, oltre i suoi lunghi capelli scuri. Sapevo che quell’«orecchio artificiale» era arrivato tardi per lei, rallentando il suo apprendimento linguistico di molto: invece che agli otto mesi, soltanto intorno ai cinque anni Mag aveva potuto cominciare a sentire.

Intorno a lei, poi, il tempo sembrava procedere diversamente: gli altri bambini ascoltavano una storia sull’Iliade, mentre l’insegnante la leggeva a voce alta. Le pause scandite dalla narrazione provocavano sui suoi compagni emozioni colorate, curiosità, spavento, incomprensione, di nuovo curiosità e così via. Noi, però, non sentivamo. Mag non sembrava essere in nessun modo catturata dall’energia che la circondava, perché la sua attenzione era come se stesse seguendo traiettorie diverse, sedotta dalle immagini, dai rumori improvvisi, dai colori. Le piaceva molto temperare le matite per poi colorare le figure che mi indicava di disegnarle, ribaltando astutamente lo schema educativo più diffuso: mentre la maestra chiedeva alla classe cosa avesse capito del racconto ascoltato, Mag chiedeva a me cosa avessi capito delle sue richieste silenziose.

Era come se mi stesse dicendo: «Disegnami quello!», «no, non così, rifallo!». Io provavo anche a scriverle insieme la parola corrispondente, così che lei potesse provare a leggerla: con la bocca concentrata e lo sguardo stropicciato tentava una volta, poi due, poi tre… Fino a riuscirci, per poi sorridermi. Ciò che voleva ricopiassi erano le figure appiccicate sulle pareti della classe, usate per imparare i suoni: «ghianda»; «fragola»; «ciliegia»

Brevemente le avevamo rappresentate tutte. Mag, però, a distanza di un’ora, non ricordava neanche un nome tra quelli trascritti. È forse proprio per questa ragione che, allora, avevo provato a coinvolgere oggetti concreti presenti nella stanza, appoggiandoli sul suo banco così che potesse toccarli: il mappamondo azzurro e verde era proprio sulla mensola sopra di noi, abbandonato alla polvere. L’avevo preso, nel tentativo di non attirare troppo l’attenzione, e gliel’avevo posizionato davanti. Lei sembrava euforica: da come lo guardava, ricordo di aver pensato che non lo avesse mai osservato da così vicino, né tantomeno toccato. Era stupita dalla sua durezza e dal rilievo sporgente dei continenti; le piaceva che girasse su sé stesso e che proprio lei, in quel momento, lo avesse tra le mani. Senza che poi io dicessi nulla, nell’incanto di un’esperienza pura, Mag aveva cominciato a disegnarlo, trasponendo sulla carta un cerchio piuttosto originale: «Questo è il mondo!» le avevo detto, scrivendo grande la parola; lei, subito, entusiasta, lo aveva ripetuto, con la voce ovattata e ricurva di chi, sordomuto, apprende deciso la nostra lingua.

Da quel momento, nelle ore insieme, capita spesso che, a prescindere dal lavoro che stiamo facendo, Mag mi indichi quello stesso mappamondo e mi ripeta, illuminata: «mondo!».

Per me è incredibile: si può dire che è stato proprio il «mondo» il nostro primo traguardo, lo stesso «mondo» che forse più di tutti, da sempre, accompagna il mio percorso da antropologa: senza espressioni quali «mondo culturale», «mondo sociale», «mondo psichico», «mondo simbolico» avrei molta più difficoltà a esprimermi sulle pluralità di cui, appunto, si caratterizza la nostra intera esistenza, così come farei molta più fatica a dare forma anche soltanto a tutti gli universi che incontro andando a scuola da Mag.

È infatti proprio un’intersezione di mondi quella che mi si presenta, ogni volta, quando sono in classe: il mondo della maestra, il mondo di ogni bambino, il mio mondo, il mondo della classe intera…

L’intersezione più evidente, però, rimane quella tra il mondo di Mag e quello che si crea tra gli altri alunni, questi ultimi accomunati dallo stesso insieme di interessi, dalle stesse competenze più o meno omogenee e dalla stessa modalità di interazione: sono tutti «un solo mondo» quando c’è da guardare un film e scegliere chi avere seduto vicino, sono tutti «un solo mondo» quando c’è da fare gli esercizi di matematica indicati alla lavagna; sono tutti, spesso, «un solo, unico, chiassoso mondo». E a volte con Mag questo grande mondo ci prova a parlare, anche se, però, lei raramente lo comprende, guardandolo interrogativa e infastidita: «non capisco cosa mi stai dicendo» sembra voler dire a molti dei bambini che provano a parlarle per giocare insieme, o per aiutarla durante i suoi esercizi, o per andare tutti a pranzo, o per scansarla via.

In effetti, oltre alla curiosità, anche il fastidio sembra essere una di quelle emozioni che riempie l’intera giornata scolastica di Mag: quando non riesce a svolgere un compito o quando sente il suo mondo troppo distante da quello degli altri, lei si infastidisce. Me ne accorgo perché le si spegne lo sguardo e aggrotta la fronte, arrivando, alle volte, persino a cancellare momentaneamente dal suo ambiente il responsabile dell’incomprensione; me compresa.

Il suo è sempre un linguaggio diretto, a tratti tagliente. Certamente disarmante. Sì, spesso Mag mi disarma: lo fa quando si accorge delle sue difficoltà, quando osserva tutti i suoi compagni studiare simboli complessi da una fotocopia che a lei non è stata consegnata, o da una figura che le sembra di conoscere ma che per gli altri ha un significato che lei non comprende. Mi disarma e al tempo stesso, proprio grazie a questo, mi parla; mi ringrazia, mi interroga, mi sgrida, mi aiuta a capirla, costruendo, insieme a me, un nuovo lavoro da fare, una nuova traiettoria da seguire, secondo il principio del primo vocabolo che abbiamo imparato insieme: «mondo».

È proprio alla ricerca dei punti in comune tra i mondi che ci circondano che ogni giorno procediamo, passo dopo passo, nel tentativo di afferrare le fila che tra tutte si somigliano e che ci servono, tanto per arricchire l’unicità del mondo di Mag quanto per intersecarlo armoniosamente con tutti gli altri.

Mi è difficile, oggi, non chiedermi cosa stia facendo Mag da quando la scuola, col decreto del 9 marzo 2020, ha chiuso: mi domando come trascorre le giornate e quale significato sta attribuendo a questa strana sospensione; soprattutto, mi interrogo sul futuro del nostro lavoro insieme e sulle possibilità che lei potrà avere per accrescere il suo mondo personale. Potremo imparare nuove parole e nuovi modi di studiare i numeri? Sarà di nuovo possibile fare un passo dopo l’altro insieme? La rivedrò, tra i piccoli banchi della sua terza elementare, lì pronta a indicarmi il mappamondo chiamandolo per nome?

 

Foto: copertina Dan Gordon

Altre foto e articolo di Martina Calista

 

 

Questo percorso di accompagnamento e sostegno scolastico è un “Progetto approvato con D.D.R. 19683/19 con il contributo di Regione Toscana”.