Home visiting: cos’è e a chi si rivolge

 Pubblichiamo un’interessante intervista a Laurence Landais, doula e peer counselor in allattamento, che ha seguito per l’associazione il corso di Home Visiting organizzato dall’Associazione 21 Luglio di Roma e da ISSA (International Step by Step Association).

Laurence Landais, tlaurence-landaisi definisci doula e peer counselor in allattamento, in cosa consiste la tua professione?
Come doula faccio accompagnamento emotivo e pratico, prima e dopo la nascita del bambino, a fianco della mamma e del papà. Come peer counselor in allattamento sono un sostegno per il buon avviamento dell’allattamento, cominciando a lavorare con le mamme anche prima del parto.

Come ti è venuto in mente di fare questo tipo di lavoro, che sembra un po’ inusuale?
È un lavoro che quando l’ho pensato non sapevo neppure che esistesse, però poi ho scoperto la Scuola delle Doule e ho capito che era quello che cercavo. In America questa professione esiste da un bel po’ di tempo, in Italia da una decina di anni.

Che effetto ha questo tipo di lavoro sulle mamme, serve a tutte le neo-mamme o alle mamme alla prima esperienza?
È rivolto alle tutte le mamme, sia che inizialmente pensino di avere particolari bisogni, sia che pensino di non averne, poiché in generale sviluppano una buona esperienza nella relazione con la doula, e si mostrano soddisfatte del sostegno che ricevono.

Mi fai degli esempi pratici: in cosa consiste il tuo lavoro?
Dopo il parto dò un sostegno anche quotidiano alla neomamma, quando il compagno rientra al lavoro, magari prestissimo dopo la nascita del bambino. Se lei si trova da sola a casa, io la aiuto nelle cose domestiche, ma anche per parlare del parto e dell’allattamento, per vedere come va, per il sostegno emotivo. Posso fare anche cose pratiche: lavare i pannolini lavabili, preparare i pasti, sistemare una stanza, quello di cui c’è bisogno… se una mamma non ha bisogno di quello, magari ha bisogno di essere accompagnata da qualche parte e non vuole andarci da sola.

Hai seguito il corso di Home Visiting coorganizzato dall’Associazione 21 luglio di Roma e da ISSA, che si è tenuto in gennaio, ci puoi dire in breve in cosa consiste e che relazione ha con il lavoro che tu stai già facendo?
L’Home Vising consiste nell’andare a trovare le famiglie a casa loro. Si avvicina molto al mio 16114449_1224080937629039_4357291184236003750_n
lavoro, in questo senso. È rivolto a famiglie con bambini da 0 a 6 anni, quindi va oltre la fascia di età di cui mi occupo io di solito, tra 0 e 12 mesi, e in questo senso è un po’ diverso. L’Home Visiting si occupa di più degli aspetti sociali e relazionali della famiglia, ed è organizzato in maniera meno quotidiana del lavoro di doula. Si incontra la famiglia una volta ogni tanto, magari stabilendolo con un calendario.

Ti è sembrato utile questo percorso rispetto al lavoro che già fai?
Il corso mi è sembrato molto utile, è stata una grande apertura.

A chi è rivolto l’Home Visiting?
Alle famiglie, ai genitori. Serve a dare risposte alle domande che i neogenitori possono avere già sugli aspetti dell’accudimento del bambino, ma anche relativamente all’accesso ai servizi del territorio. Però può servire anche a fornire informazioni di cui loro non sono a conoscenza, sia sul bambino stesso che sui servizi disponibili, che altrimenti non scoprirebbero.

Perché è così importante rivolgersi alla fascia di età 0-6?
img_5640Al corso ci hanno spiegato bene il motivo per cui è così importante lavorare su questa fascia d’età. Abbiamo visto alcuni video della Harvard University, dalle cui immagini si capisce che il cervello del bambino si sviluppa per il 90% nei primi tre anni di vita e che le connessioni che si creano all’interno del suo cervello in questa fascia di età, dopo i 5 anni è più difficile che si realizzino per ragioni biologiche. Per cui dare una particolare attenzione a questo periodo di vita e proteggere il bambino dallo stress tossico è importante. Lo stress tossico è uno stress ripetuto o prolungato che può essere causato da condizioni di vita non decenti, sia abitative, sia di precarietà della famiglia o anche se per esempio un bambino non viene accudito da una persona che si prenda davvero cura di lui. Se il bambino è sottoposto ad uno stress ripetuto o prolungato, subisce dei danni a livello del cervello e il suo futuro ne sarà compromesso: da grande con ogni probabilità avrà difficoltà non necessariamente cognitive o di apprendimento, anche se è possibile, ma soprattutto a livello emotivo e relazionale.

Chi è che fa Home Visiting?
Può essere direttamente il servizio pubblico, oppure un’associazione o una cooperativa che lavora in collaborazione con il servizio sociale.

A chi sono rivolte le attività o i progetti di Home Visiting?
In prima battuta si deve dire che l’Home Visiting deve essere una cosa gradita dalla famiglia che lo riceve; se poi si instaura una relazione di fiducia, la famiglia ne trae benefici, fosse anche solo sulla consapevolezza di alcune informazioni sull’accudimento del bambino o sull’importanza di questa fase di accrescimento, ma anche su alcuni problemi pratici che la famiglia può trovarsi a fronteggiare. Per certi versi è un lavoro abbastanza simile a quello che svolgo come doula, ma forse è rivolto ad una fascia diversa di popolazione. Le famiglie con cui lavoro come doula, sono famiglie che di solito conoscono bene il territorio e i servizi a disposizione oppure che non hanno bisogno del supporto di servizi sociali o pubblici. In questo caso invece si lavora principalmente per creare una relazione ed un contatto tra la famiglia e i servizi, diminuirne l’isolamento e dare maggiori possibilità al bambino.

Quali sono le azioni più importanti che deve progettare chi pensa ad un Home Visiting e quando esso è necessario?
Oltre a portare informazioni alle persone che andiamo a visitare, l’Home Visiting serve a capire se e dove ci sono carenze o bisogni. Ci deve essere senz’altro una prima fase di ascolto, di conoscenza e osservazione della famiglia che si va a trovare, da lì nascono le azioni che tendono a coinvolgere la famiglia e la rete potenziale di servizi che possono rispondere ai bisogni del bambino (comune, servizi sociali, sanitari, scuola…). Ad esempio si può intervenire nel caso si noti che un bambino manifesti un ritardo rispetto alle normali tappe di accrescimento, in tal caso si cerca di coinvolgere la famiglia nell’affrontare questa difficoltà, ad esempio stimolandola a prendere un appuntamento dal medico per iniziare un percorso di controllo ed eventualmente di cura. Chi fa l’Home Visiting deve avere una mappa chiara e precisa dei servizi esistenti sul territorio a cui potersi rivolgere per ogni specifico bisogno.

Quale tipo di azioni pratiche si fanno con la famiglie che si vanno a visitare?img_5638
Ci sono sia incontri singoli con le famiglie per l’accompagnamento, come dicevo, ma si cerca anche di creare momenti di contatto e di condivisione tra più famiglie. Un progetto che è stato realizzato, ad esempio, prevedeva il coinvolgimento dei padri, che in generale si sentono esclusi nella crescita e nell’accudimento dei bambini. Essi erano invitati a creare all’interno di un campo rom un’area sicura per il gioco dei propri bambini. Il fatto di creare con i propri mezzi e le proprie mani un’area per i bambini ha rafforzato il loro rapporto con i figli. L’idea è quella di far capire ai genitori che loro sono competenti, hanno le capacità necessarie per crescere bene i propri figli. Che non serve niente di straordinario per riuscire a crescere un bambino sereno, ma a volte quelle capacità non si sa di averle. Altri progetti hanno per esempio coinvolto le scuole che hanno organizzato laboratori pomeridiani che coinvolgono uno o entrambi i genitori con il bambino, ad esempio all’interno dei locali della scuola materna. Attraverso questo laboratorio si fa capire ai genitori quali tipi di attività si possono fare con i bambini e si fa anche vedere loro l’uso dei materiali (pittura, fogli, colori). Questa cosa del disegnare, fare alcune attività, può essere che non sia stata mai fatta o pensata a casa, mentre all’interno dei progetti genitori e figli imparano insieme che cosa si fa alla materna. Questo aiuta anche i genitori a capire e ad avere fiducia nella scuola, che magari non sanno com’è, cosa i bambini fanno al suo interno e non capiscono bene a cosa serva. Fare delle cose pratiche li aiuta a capire. In questo caso, se necessario, si coinvolge una persona che parla la lingua e condivide la cultura con i genitori dei bambini. L’idea è di creare qualsiasi situazione di ritrovo in gruppo, in modo che le famiglie creino legami tra di loro e si possano aiutare per fare delle cose insieme anche senza l’intervento di una persona esterna o esperta. Ad esempio si possono coinvolgere ludoteche ed organizzare playgroup. I playgroup esistono senz’altro in altri paesi e sono caratterizzati dalla presenza di un educatore e un mediatore culturale; si organizzano situazioni dove genitori e figli possano giocare, essere gioiosi insieme. Anche in situazioni difficili le relazioni tra genitori e figli devono essere il più possibile gioiose, e le attività di playgroup hanno questo obiettivo.

16194892_1224081104295689_93639340144385136_nEsistono relazioni tra l’intervento di Home Visiting e la scuola?
È dimostrato che è molto importante coinvolgere i bambini nella frequenza della scuola materna e possibilmente anche del nido, perché è importante per poi arrivare alla scuola elementare preparati. Se si arriva alle elementari senza aver fatto esperienza con i colori, con il pregrafismo, con l’esperienza di aver ascoltato delle storie, il bambino comincia già con delle difficoltà perché non è preparato alla lettura, alla scrittura e all’ascolto. Non dico che sia indispensabile per tutti arrivare a scuola avendo già fatto un’esperienza di scuola dell’infanzia o di nido. Chi nasce in una famiglia dove tutte queste esperienze si fanno comunque, può anche farne a meno, ma in una famiglia dove non ci sono questi stimoli, non si vedono libri o libri cartonati, colori, fogli, questo tipo di esperienze sono indispensabili per non arrivare all’inizio della scuola già in difficoltà.

La frequenza delle scuole di infanzia e nido influisce anche sulle competenze sociali?
Per quel che riguarda le competenze sociali la frequenza delle scuole non dell’obbligo pare avere un’incidenza minore rispetto alle competenze prettamente scolastiche. Nella competenza a relazionarsi il problema maggiore sembra sia quello di aver avuto dalla nascita una persona che si è presa cura del bambino in maniera buona, in modo che abbia sviluppato ciò che si chiama un attaccamento sicuro. Se il bambino non ha una figura di attaccamento avrà problemi di relazione, ma questo è vero in ogni contesto e strato sociale.

Per altre informazioni su Laurence Landais ed il suo lavoro è possibile visitare il sito:  http://www.unadoulaperamica.it

Immagine in copertina: ph Harsha K R
Immagini dell’articolo: Laurence Landais e Associazione 21 Luglio